martedì 2 giugno 2009

I corridori hanno saputo rendere entusiasmante anche questo Giro


(di Alessandro Cortinovis) Devo dire che alla fine è stato un bel Giro, non tanto per il percorso quanto per i corridori che hanno saputo entusiasmarlo, da Di Luca, a Basso, a Pellizotti... E poi fino agli ultimi minuti di gara il Giro ci ha tenuti col fiato sospeso, pensiamo alla caduta di Denis Menchov durante la crono conclusiva, che avrebbe potuto cambiare il podio. Ma come dice Di Luca, prendere la maglia rosa per una caduta non sarebbe stata una bella vittoria. A mio parere il finale dovrebbe essere sempre a Roma. Pedalare lungo le strade di Roma ed essere premiati davanti al Colosseo ha un fascino senza pari. Peccato per il maltempo: la cronometro è una prova tecnica che la pioggia ha reso ancora più difficile e rischiosa. Chiudere il Giro con una prova contro il tempo per i corridori non è il massimo, sarebbe stata meglio una tappa normale.

I fischi, il tifo forte a Di Luca, le persone che gioiscono per la malasorte dell'avversario, a noi sembrano cose strane perché non siamo un popolo nazionalista, ma all'estero, nell'ambito ciclistico, queste cose succedono normalmente.

Gli attacchi di Ivan Basso hanno reso il Giro più spettacolare. Ivan è rinato e si è riconfermato, si è dimostrato sempre all'altezza. È una persona seria, non è facile senza ritmo nelle gambe arrivare quinto in un grande giro, questo sta a dimostrare che ha un gran motore. Franco Pellizotti in quest'ultima settimana è andato forte, la sua forma è andata in crescendo, ha tirato fuori il meglio di sé facendo piacere ai suoi tifosi. Stefano Garzelli è stata una sorpresa, essendo quasi un veterano del gruppo. Ha dimostrato di poter essere ancora lì a lottare per vincere. Di Francesco Masciarelli parlavano bene già nelle categorie giovanili, tra i fratelli si è sempre detto che lui era il talento più grande, speriamo non sia solo una comparsa ma si metta in luce anche nei prossimi anni. Lance Armstrong ha fatto quello che da lui ci si aspettava. Il Giro d'Italia gli è servito per carburare e ce lo troveremo a luglio. Io per il Tour avrei paura di lui... L'ho visto migliorare settimana dopo settimana. E senza la brutta caduta sarebbe arrivato molto più avanti. Damiano Cunego è stata un po' una delusione, ha preso ogni giorno una batosta e non si mai rialzato. Mi dispiace per lui perché è una persona seria e corretta. Non riesco a capire se sia un problema a livello psicologico o un periodo difficile di non forma. D'altronde per i ciclisti le annate sono come quelle del vino, buone o meno buone. Per Marzio Bruseghin e gli altri uomini della Lampre non è una buona annata. Quando comincia ad andare storto qualcosa poi ci sono sempre difficoltà.

Per quanto riguarda i bergamaschi, Marco Pinotti si è fatto vedere anche nella penultima tappa con una bella azione nel finale, il suo è un Giro positivo, ha dimostrato di essere all'altezza all'interno di una squadra eccezionale. Sono molto felice per lui. Alessandro Vanotti ha svolto il solito lavoro di gregariato, difficile e faticoso. Morris Possoni mi ha un po' deluso, non si è riconfermato, e ciò è certamente dovuto anche al fatto che ha dovuto tirare per i compagni. Il Giro di Diego Caccia è positivo, è un segnale importante riuscire a finire il primo Giro d'Italia: chi riesce nell'impresa non è uno qualunque. Inoltre gli sarà servito moltissimo per fare esperienza.

Questo Giro l'ho seguito con piacere nonostante gli impegni di lavoro, però cerco sempre di non re-innamorarmi troppo, altrimenti sarebbe solo una sofferenza. So che il tempo cancellerà la malinconia, ma il Giro è sempre il Giro. All'Almenno Impresa Rota Nodari, squadra juniores di cui sono direttore sportivo, mi trovo davvero bene con tutti, anche con i ragazzi, che mi danno soddisfazioni perché si impegnano sempre, in allenamento e in gara. Se tra i prof è un ruolo meno influente, nelle categorie giovanili il direttore sportivo fa un po' di tutto, non è solo quello che li porta a correre la domenica.


(a cura di E.B.)

lunedì 25 maggio 2009

Non credevo che Sastre andasse così forte


(di Beppe Guerini) Avevo previsto che nella tappa di lunedì 25 maggio, da Pergola a Monte Petrano, Menchov avrebbe conservato la maglia rosa, ma non credevo che Sastre andasse così forte. Ma d'altronde lui è un diesel. Lo spagnolo della Cervelo è un corridore simpatico, molto disponibile e mai presuntuoso. Può godere di simpatie e aiuti in gruppo, così come Menchov nei giorni scorsi. Anche Basso ha corso bene, è quello che ha attaccato più di tutti e ci ha creduto. La sua condizione non è al 100%, forse per via dei due anni di inattività. Di Luca ci ha provato, ma con un Menchov in questa condizione non c'è molto da fare; Danilo ha difeso il suo secondo posto e non ritengo uno sbaglio il fatto che abbia tirato fino alla fine, e comunque è andato forte. È stata una frazione molto simile a una tappa del Tour, corsa ad alta velocità con un caldo torrido. E proprio come al Tour si staccavano i gruppetti, non per cambi di velocità ma per sfinimento. Sastre e Menchov sono più abituati a queste situazioni da grandi giri.

Essendoci solo 39 secondi fra Menchov e Di Luca in classifica generale, può succedere ancora di tutto. Anche perché Sastre, nonostante abbia più di 2 minuti, fa paura. La Liquigas poi – così come tante altre squadre – non ha più nulla da perdere ad attaccare. Penso ci saranno ancora delle belle tappe.

A Cunego bisogna dare atto che ci ha provato. Per la condizione che ha, tanto di cappello. Altri si sarebbero demoralizzati e probabilmente anche ritirati. Forse però deve rendersi conto di essere un corridore da classiche o da giri di tre-quattro giorni.

Garzelli è una piacevole sorpresa, non me lo aspettavo così forte, complimenti a lui. Probabilmente ha perso troppo nelle prime tappe, altrimenti sarebbe lì tra i primi in classifica. Un po' tutti, anche gli addetti ai lavori, l'hanno sottovalutato e invece è in grande condizione.

Per finire una nota positiva per il ciclismo bergamasco: oggi si è rivisto Morris Possoni, in netta ripresa, e non è escluso che anche lui nei prossimi giorni possa fare qualcosa di importante.

a cura di E.B.

venerdì 22 maggio 2009

Intervista ad Alessandro Vanotti

(Foto by Bettini Photo)

Alessandro Vanotti ha 28 anni e sta disputando il suo ennesimo Giro d'Italia. È un gregario ambìto, negli ultimi anni al servizio di grandi capitani. Si è concesso un'unica vittoria fra i professionisti proprio nella sua Bergamo, nell'ultima tappa della Settimana Lombarda del 2007. Al Giro del Centenario è compagno di squadra di Ivan Basso, la divisa è quella verde-azzurra della Liquigas Doimo. Alla partenza da Venezia non era al massimo della forma, ma adesso si è ristabilito del tutto: «Sto bene. Ero partito con qualche problema fisico, ma di giorno in giorno sono migliorato e nel tappone di martedì col Sestriere ero con i primi». Una squadra a due punte, la sua, che infiamma le discussioni dei tifosi e le penne dei giornalisti, che cercano di capire quale sia la tattica e chi il vero capitano, tra Ivan Basso e Franco Pellizotti: «Finalmente è arrivato il giorno decisivo della crono delle Cinque Terre e Pelli è andato più forte di Ivan. Franco è in crescendo, invece Ivan secondo me andava già troppo forte in Trentino ed ha raggiunto il suo picco di forma, che sta mantenendo. Ora come ora Pellizotti ha qualche chance in più, ma anche Ivan non è fuori dai giochi. Purtroppo per lui non ci sono i passi dolomitici e non ha pane per i suoi denti, non può guadagnare minuti in salita». E il tuo ruolo esattamente qual è? «È un ruolo molto dispendioso. Prendiamo la Cuneo-Pinerolo. Dovevo restare fino alla seconda salita, ma ho tenuto e la squadra aveva bisogno di me, perciò sono arrivato fino all'ultima salita. Ho lavorato per 200 chilometri. Infatti sono arrivato proprio scarico. In gara ci sono tante cose da fare: tenere davanti Ivan, andare a prendere da bere, e tanto altro». Ti piace il percorso di questo Giro al contrario? «Sinceramente no, perché non è adatto alla nostra squadra. Sembra un Giro in discesa, da nord a sud. Finora la differenza in salita l'abbiamo fatta noi. Abbiamo fatto saltare tanti big, che senza il nostro lavoro sarebbero stati a ruota. Se fosse stato un classico Giro, adesso Basso sarebbe tra i primi tre in classifica generale. È una gara anomala, per gente esplosiva. Ma non è sicuro. L'ultima parola non è ancora detta». Cosa si impara stando al fianco di un campione così meticoloso come Ivan Basso? «Ho corso tanto insieme a lui e sicuramente sotto questo aspetto ha una marcia in più di tutti gli altri. È un campione sotto tanti punti di vista, mi ha fatto capire perché sia lì a lottare per un grande giro».Nella Morbegno-Bergamo il team ha concesso a Vanotti, unico alfiere Liquigas che quel giorno correva in casa, un po' di libertà: «Ho avuto spazio e sulla salita del Culmine San Pietro ci ho provato due volte. Ma la Lampre ha sempre chiuso. Ho sprecato troppe energie e sul Colle Gallo ero in affanno. Purtroppo è dura per un uomo della Liquigas andare in fuga, perché ti tengono sempre gli occhi addosso. Mi è piaciuta molto la tappa. C'era tantissima gente, sembrava di essere al Tour. Ad Almè mi sono fermato un secondo, ma proprio un secondo eh!, a salutare gli amici e mia moglie. Ho trovato tante scritte per me anche sul Colle Gallo e non me l'aspettavo. E poi sono stato al Processo alla Tappa. Una giornata di fatica ma bella». Come ti alimenti al Giro? «In corsa mangio i panini che ci preparano i massaggiatori, con marmellate, miele, frutta fresca. Quando la tappa è lunga faccio preparare anche due panini al prosciutto più grandi dei soliti. E poi ci sono i gel liquidi. Anche fuori dalla corsa dobbiamo stare molto attenti a ciò che mangiamo». Cosa non vedi l'ora di mangiare quando torni a casa? «Una bella pizza. Un fritto misto. Una birra e un bel gelato. Qua queste cose non si vedono. Non è semplice stare un mese in riga». Fare il Giro equivale a stare tre settimane senza la famiglia: come vivi il distacco? «È un po' dura, soprattutto adesso che ho una bimba piccola. Quest'anno Angelica ha un anno e due mesi e faccio più fatica. Lei è un vulcano di energie, è così vivace da sembrare più grande dell'età che ha. Nella tappa di Bergamo mi aspettava sul percorso insieme a mia moglie, ma in quell'attimo in cui mi sono fermato non mi ha nemmeno guardato, perché era interessata all'elicottero sopra di noi. Poi però sono venute a trovarmi la sera in albergo e Angelica mi ha riconosciuto. Mi ha detto mia moglie che quando sono tornate a casa la piccola piangeva», conclude Vanotti, che mentre ci parla si trova in un hotel a Lido di Camaiore, in riva al mare, al termine della cena che ha calato il sipario sulla giornata più attesa della seconda settimana del Giro, quella della cronometro individuale delle Cinque Terre.

Enula Bassanelli

lunedì 18 maggio 2009

Pedro, un ragazzo eccezionale

(di Alessandro Cortinovis) Nella Morbegno-Bergamo, se la fuga fosse andata bene non sarebbe successo nulla. Ma non mi aspettavo un'azione così decisa, un attacco simile su una salita di 5 km (il Colle Gallo). Ad un certo punto avevano 50 secondi e cominciava a essere un attacco importante, se solo si fossero messi d'accordo. Se non avessero aspettato i 3 dietro, sarebbero potuti andare più lontano. Invece si sono arresi.
Mi ha colpito l'entusiasmo della gente a Bergamo. Mi ha fatto pensare che il ciclismo non morirà mai. È il segno che, soprattutto qui da noi, il ciclismo ci sarà sempre. Mi fa grande piacere.
La nota dolente della tappa organizzata da Promoeventi è stata la caduta di Pedro Horrillo. Mi dispiace tanto. È un corridore che conoscevo bene, andavamo tanto d'accordo. Penso che andrò a trovarlo in questi giorni in ospedale a Bergamo. Pedro è un ragazzo eccezionale. Da sottolineare la tempestività e la bravura dei soccorsi. È un po' l'indole dei bergamaschi, queste persone che sono pronte a sacrificarsi e andare a salvare le vite, come hanno fatto per l'Abuzzo.
Per quanto riguarda quello che è successo nella tappa di Milano, io sto dalla parte dei corridori. D'altronde è capitato anche a me vivere situazioni simili di scarsa sicurezza. Penso che i media avrebbero dovuto spiegare meglio la faccenda, anche agli spettatori presenti alla tappa.

a cura di E.B.

Intervista a Morris Possoni


Morris Possoni non ha ancora compiuto 25 anni. Un fisico da scalatore, al quarto anno da professionista, il giovane bergamasco sta disputando il suo secondo Giro d'Italia. Morris abita a Barzana, un fazzoletto di terra fra la Valle Imagna e la Val San Martino ai piedi delle montagne che dividono la bergamasca dal territorio lecchese. Gli esperti lo definiscono un corridore di talento che, maturando ulteriormente, potrà trovare il suo spazio quando ci saranno da affrontare le salite (nelle passate stagioni ha già trovato il modo di mettersi in mostra ottenendo buoni piazzamenti in corse importanti).
Oggi il Giro osserva il giorno di riposo e la carovana si trova in Piemonte, in attesa della famigerata tappa di martedì, la Cuneo-Pinerolo, in cui i corridori dovranno affrontare diverse salite. «Stamattina la sveglia era libera, alle 11 abbiamo dato una sistemata alle bici, abbiamo fatto una piccola riunione parlando di ciò che è successo ieri, e alle 11.30 ci siamo fatti un giro in bici fino a Cuneo, con una sosta in un bar. Abbiamo pranzato e nel pomeriggio relax», racconta l'atleta in forza al Team Columbia, compagno di stanza di Marco Pinotti. Prima del Giro ha disputato il Romandia, ma la condizione non era ottimale: «Non stavo bene, avevo delle placche in gola e ho dovuto prendere l'antibiotico». Adesso però si è ristabilito completamente. Non potrà tuttavia mettersi in mostra facilmente, poiché è al servizio di uno squadrone che ha due uomini tra i primi tre della generale (Thomas Lövkvist e Michael Rogers), un velocista di razza come Mark Cavendish e altri “cavalli pazzi” che hanno già vinto alcune tappe (vedi Edvald Boasson Hagen e Kanstantsin Siutsou): «Siamo partiti bene vincendo la cronosquadre, ma in un team di velocisti abbiamo dovuto lavorare subito. Per questo quando sono iniziate le salite ho accusato fatica. Avendo già dei compagni messi molto bene in classifica generale, il mio compito è aiutarli. Si dovrà stabilire chi tra Rogers e Lövkvist farà effettivamente la classifica, poi c'è Cavendish che fa le volate. Io sono un loro gregario». Ciò non toglie che... «Magari in qualche finale di tappa ci proverò. Anche domani, chissà. Bisognerà vedere se arrivo davanti e se i miei compagni non avranno bisogno di me. Ma sarà molto difficile. Penso che dovrò aiutarli anche domani. Ci tenevo a fare personalmente un bel Giro, ma il nostro team è forte e bisogna essere realisti, accettare che gli altri vadano più forte di te e mettersi al loro servizio».
Qual è l'ingrediente segreto che rende il vostro team così forte? «Siamo tutti legati, c'è affiatamento, ci capiamo subito, anche senza dire una parola. A Venezia, prima che prendesse il via la crono, c'era molto stress. Ma da quando abbiamo vinto basta, lo stress è svanito e si sta molto bene. Si può dire che le altre vittorie sono arrivate automaticamente, perché abbiamo corso con tranquillità e i risultati sono arrivati quasi facilmente, tre vittorie filate negli ultimi tre giorni. Ogni mattina c'è la consueta riunione di squadra e l'obiettivo che ci prefissiamo è fare una bella tappa, ma senza pressione o esasperazione». Sul podio finale Morris vede i suoi compagni di squadra: «Rogers può lottare per la vittoria ma anche Lövkvist può ambire al podio».

Lance Armstrong pedala nel gruppo; che atmosfera si respira con la sua presenza al Giro? «Visto da me e da altri corridori giovani, sicuramente mette un po' di soggezione. Quando lo vedi, nel gruppo, lo lasci sempre passare. Allo stesso tempo è bello averlo lì vicino, e quando passa lui i tifosi si accendono. Lui non è particolarmente espansivo, più che altro sono gli altri corridori che lo vanno a cercare».
Nella tappa di sabato 16 maggio, la Morbegno-Bergamo, ha giocato in casa, ma è rimasto coperto: «In quella tappa siamo partiti a mille all'ora, siamo andati forte anche sulla salita del Culmine di San Pietro, e verso Bergamo mi sono un po' spento, forse anche per lo stress della consapevolezza di correre tra la mia gente. Tra Solto Collina e il Colle Gallo mi sono accorto di non avere la gamba per stare davanti. Avrei sofferto troppo, così ho lasciato perdere l'idea. Dovevo stare attento a non spendere energie inutilmente per stare pronto a fare il mio lavoro di gregario». Il suo fedele fan club era presente in due tappe: «Sono venuti all'Alpe di Siusi, a Bergamo erano sparsi per il tracciato, e spero che vengano ancora».
Ieri la tappa Milano Show 100, finita in un mare di polemiche e di attacchi ai corridori: «Fuori dalla corsa la gente non capisce tanto la pericolosità del nostro mestiere. Pensano che andiamo piano apposta per non far fatica. Ma forse è inutile anche star lì a spiegare, non so se capirebbero. Quella di Milano è stata una tappa molto rischiosa. L'ideale sarebbe stato fare piano i primi otto giri, per non fare la corsa vera, e al penultimo giro cominciare la corsa vera per fare l'ordine d'arrivo. La cosa più pericolosa erano i binari del tram, te li trovavi anche in curva, era sufficiente andarci su nel senso sbagliato per cascare e buttare giù altri dieci atleti. Certe strade poi erano tanto strette. Un conto è far passare i corridori da Milano per la passerella finale, un altro è organizzare a Milano una tappa intera dopo la prima settimana. Alla fine abbiamo fatto 38 di media, non siamo andati poi così piano, il casino è nato solo perché a un certo punto ci siamo fermati a spiegare. Eravamo 200 corridori ed essendo una tappa intermedia tutti volevano stare davanti, velocisti, uomini di classifica... sarebbe stato uno stress enorme e il rischio di cadute sarebbe ulteriormente aumentato. C'erano anche auto ferme sul percorso e nessuno a segnalarle, poi un pezzo a senso alternato separato soltanto dai birilli...».
Milano Show a parte, Morris Possoni non può che essere soddisfatto: partecipa al Giro d'Italia del centenario, ha la possibilità di fare esperienza, fa parte del team più forte e blasonato del momento, corre al fianco di compagni di squadra giovani e pieni di grinta ed entusiasmo, un team, il Columbia High Road, che sta portando al Giro una ventata di forza e freschezza.


Enula Bassanelli

RCS, i corridori e il dialogo che non c'è

(di Beppe Guerini) La tappa di Bergamo mi è piaciuta ancor più di quanto mi aspettassi, con il bell'attacco sul Colle Gallo di corridori di spessore e il grintoso recupero della maglia rosa, insomma, una tappa assai movimentata. Io purtroppo sono rimasto a casa malato e la gara me la sono vista in televisione. Essendo rimasto costantemente in contatto con Promoeventi, il presidente Bettineschi e gli altri, posso dire che li ho sentiti tutti soddisfatti e contenti, sia per lo spettacolo della tappa sia per la folla presente sul percorso.

Pedro Horrillo Muñoz lo conosco di persona, abbiamo più o meno la stessa età, abbiamo corso insieme in molte occasioni e parlavamo spesso. Era un amico, come può esserlo una persona con cui corri insieme per anni e con cui vai d'accordo. È una persona molto colta e a modo, è laureato, faceva il corrispondente di El País durante le gare ciclistiche più importanti e collaborava anche con un giornale olandese. Nella sfortuna, l'incidente è avvenuto in un posto in cui erano preparati per qualsiasi evenienza. Speriamo proprio che Pedro si rimetta presto.

E ora parliamo della nona tappa, la Milano Show 100. Credo che i corridori abbiano sbagliato a fermarsi sotto lo striscione d'arrivo, con questa mossa si sono messi dalla parte del torto. L'organizzazione però ragiona a senso unico e non sempre pensa alla sicurezza dei corridori. Già il finale della sesta tappa a Mayrhofen in Austria era un finale al limite. Per non parlare dell'arrivo di Valdobbiadene della terza tappa, in cui Petacchi e Farrar sono andati a finire contro le transenne. A Milano si sono sfogati, dopo aver accumulato tutto lo scontento delle tappe precedenti. Da parte di RCS non c'è dialogo e per di più pretende sempre di aver ragione. È stata una protesta giusta ma sbagliata nei modi. Basta un dato per far capire la situazione: al Tour e alla Vuelta non c'è mai stata una protesta contro l'organizzazione. Al Giro ogni anno c'è qualcosa. E i corridori sono sempre gli stessi al Giro, al Tour e alla Vuelta. Nelle altre nazioni coi corridori si dialoga; se ci sono passaggi pericolosi, al massimo sono messi a metà tappa, e vengono sempre motivati. Al contrario, al Giro sono successe già tante cose sotto l'aspetto della sicurezza e siamo solo alla prima settimana.

A proposito dei giornalisti che sui giornali di oggi hanno aspramente criticato il comportamento di Lance Armstrong per la vicenda della tappa milanese, credo che bisognerebbe chiedere a Zomegnan quanto ha pagato per far venire l'americano al Giro e perché questa massa di giornalisti sia venuta al Giro per seguire questo “pensionato”, come oggi qualcuno l'ha definito. È facile scrivere, ma se qualcuno di loro incominciasse a fare qualche giro in bici e guardare la tappa dal vivo, spostandosi, allora parlerebbe diversamente.

Quest'oggi il giro osserva il giorno di riposo e domani la Cuneo-Pinerolo sarà una tappa impegnativa, il Giro si accenderà. Giovedì poi si disputerà la crono delle Cinque Terre, un passaggio fondamentale per chi vuole vincere questo Giro.


a cura di Enula Bassanelli

venerdì 15 maggio 2009

Domani la Morbegno-Bergamo

(di Alessandro Cortinovis) Credo che, per questo Giro, Leipheimer resti il favorito numero uno, perché rispetto a Basso va molto forte a crono. La situazione cambierebbe se Basso riuscisse a fare il vuoto in salita. L'Astana lavora poco e resta tranquilla, mentre la Liquigas ha la convinzione di fare bene e forse è un po' troppo generosa... anche se questo sicuramente significa che il team di Basso sta bene e che sa quello che sta facendo.

Ieri secondo e oggi vittorioso, Boasson Hagen – come hanno detto i suoi direttori sportivi – lo troveremo negli anni a venire spesso protagonista. Ora facciamo fatica a pronunciare il suo nome, ma lui ce lo farà ricordare con le sue imprese. Ha tanta convinzione e carattere, per il secondo posto di ieri non si è perso d'animo e oggi ci ha riprovato, con quale risultato!

Da una parte Armstrong non ha torto nel dire che ci sono state due discese molto rischiose nel finale. Mi immagino la tensione nel gruppo, tutti a voler stare davanti. Non fa bene ai corridori questa situazione. Ma, come già vi ho detto, gli organizzatori in questi casi non guardano in faccia agli atleti e sono un po' sadici. Bertolini, che oggi è andato via nella discesa, è sempre uno che accende la miccia quando meno te lo aspetti.

Da Possoni mi aspettavo qualcosa in più ma è uscito acciaccato dal Romandia, e un grande Giro non perdona. Quando correvo, nelle corse di tre settimane, al di là della condizione al top, la cosa fondamentale era non ammalarsi, non buscarsi neppure un raffreddore. Altrimenti non si riesce più a recuperare, la notte si fa fatica a dormire e, accumulato allo stress della corsa, il malessere diventa troppo e alla fine non ce la fai più.

Domani si disputa la tanto attesa tappa Morbegno-Bergamo. La salita del Culmine di San Pietro non verrà digerita facilmente da tutti. Da subito ci sarà bagarre, in molti tenteranno di andare in fuga. Le squadre dei big decideranno se fa andar via la fuga oppure no, in base ai corridori che la compongono. È facile infatti che provino ad andar via anche atleti che sono a 5-6 minuti dalla maglia rosa e che vanno bene in salita, uomini pericolosi per chi punta alla leadership. Tuttavia i team importanti, quelli che mirano alla classifica, hanno tutto l'interesse a far andar via la fuga giusta, per portare i capitani all'arrivo senza particolare stress. Il percorso della tappa non è male. È la salita posta all'inizio che – parlando da corridore – non mi piace più di tanto, considerate le tappe precedenti e il meteo previsto per domani. Ma d'altronde era una scelta obbligata per passare dalla provincia di Lecco a quella di Bergamo. Non è certo una frazione interlocutoria e, come hanno detto i giornalisti oggi al Processo alla Tappa, la Boccola nel finale è ormai classica, non può mancare, proprio come il Poggio alla Sanremo.


a cura di Enula Bassanelli